In giro per «osmizze»

 

 

C'è anche un altro vin de casa a Trieste. La qualità non è detto che sia sempre migliore di quella del vinaio di via Umago, ma la tradizione e l'ambiente nei quali nasce sono ben diversi. Si tratta del vino delle osmizze.
Su tutto l'arco del Carso è facile notare, anche stando sul mare o viaggiando sulla Costiera, una quantità di piccoli vigneti aggrappati alle pendenze appena appena meno ripide.

Ancora più facile, gironzolando in macchina per le stradine nascoste tra quelle vigne, è imbattersi in una frasca, posta in bella vista sulla facciata di una casa contadina. La frasca segnala un'osmizza - non a caso in Veneto e in Friuli vengono chiamati frasche locali sostanzialmente dello stesso tipo, luoghi spesso adulterati in banali agriturismi ma talvolta ancora fedeli alla loro originaria natura di punti di mescita temporanea. Nelle osmizze, come nelle frasche, il vino viene venduto e consumato direttamente nella cantina del produttore per un periodo limitato a un paio di mesi. Osmizza è una traslitterazione della parola slovena osmica, ovvero ottavina, e indicava appunto gli otto giorni di apertura consentiti in passato dal magistrato civico. Nel 1784 un decreto imperiale permise la vendita durante tutto l'anno di generi alimentari, vino e mosto di frutta a chiunque ne producesse, lasciando totale libertà anche sui prezzi e la stagione di attività e ponendo la sola condizione - pensata già all'epoca, viene da credere, come misura contro il reddito «sommerso» - di esporre una frasca davanti alla cantina.

Le osmizze sono tante sia sull'altopiano sia nelle vie che dal centro s'impennano in direzione Opicina, come via Commerciale o Strada del Friuli. Aprono in periodi diversi, spesso segnalati su internet e dalle guide gastronomiche, però è più divertente procedere per tentativi ed errori, approfittando della ricerca per farsi un giro in macchina attraverso i paesi del Carso. Io ovviamente ho le mie preferite, ma non ha senso che ve le dica, visto che anche l'osmizza meno appariscente si trova comunque in una posizione fantastica: o a picco sul mare o nel cuore di una campagna talmente suggestiva da non far sentire la mancanza delle onde.  L'ambiente di solito è molto spartano: due-tre tavolazzi con le panche, stuzzicadenti scolpiti con l'accetta, niente tovaglie. Le pietanze servite di accompagnamento al vino sono in prevalenza formaggio stagionato, prosciutto crudo, uova sode, sottaceti, quasi sempre genuine e molto fresche.
Quanto al vino, se siete fortunati potete assaggiare le due glorie locali: il terrano, un rosso asprigno che lascia la lingua colorata per giorni, e la vitosca, un bianco leggero e profumato.
Ma se non siete fortunati ve la godrete lo stesso, perché le osmizze sono ancora fuori dal circuito «in» del turismo mangereccio e ci troverete solo la gente giusta: studenti, compagnie di amici, coppiette, vecchi intenti a passare 

un'oretta in un bel posto senza pretese. 

(...) per me è sempre più importante il posto dove mangio - e le persone con cui mangio - rispetto a ciò che mi verrà messo nel piatto. Così, quella volta che io, Flavio e altri amici siamo saliti a Contovello - era una mattinata quasi estiva di maggio - e ci siamo ficcati nell'ultimo tavolo disponibile sotto la pergola e ci siamo rimessi il pullover per resistere alla brezza e poter continuare ad ammirare il mare blu di Prussia, con la città raccolta tutta in un solo sguardo sotto di noi, quella volta che abbiamo aspettato l'imbrunirelì all'aperto, con le lampo tirate su fino al collo, parlando di un viaggio in Giappone che non saremmo mai riusciti a fare, ecco, quella volta nella brocca, anzi nelle brocche, c'era un normalissimo merlot e sul vassoio della comunissima mortadella col pistacchio.
L'osmizza però è anche un'esperienza esotica a un passo da casa. È l'estrema propaggine della civiltà contadina spintasi fino ai margini di una città che, proprio come Venezia, è cresciuta «senza arare né vendemmiare». Salire tra le vigne dell'altopiano, entrare nella cantina di un agricoltore di San Dorligo o di Santa Croce, è anche un modo per capire cos'è Trieste, per identificarla attraverso il suo contrario. Basta allontanarsi di qualche chilometro su per i tornanti del Carso e si vede, come dentro un telescopio virtuale, una fettuccia di palazzi antichi e vie massacrate dal traffico, stretta tra il vin de casa istriano e il vin de casa sloveno. Quando decidete di andare per osmizze, tenete presente che non sono posti da pranzo e cena. Partite con l'idea di una gita e un piccolo spuntino (anche se quasi sempre finisce con uno spuntino e una piccola gita).

 

Trieste sottosopra di Mauro Covavich, scrittore triestino 

 

  • vin de casa: il vino che non si compra in bottiglia, ma sfuso
  • gironzolando: andando in giro, passeggiando
  • imbattersi: incontrare, trovare
  • frasca: ramo di una pianta, di un albero
  • adulterati: modificati, in senso negativo
  • traslitterazione: riscrittura
  • magistrato civico: una carica amministrativa della città
  • mosto: succo d'uva non ancora fermentato
  • sommerso: reddito sommerso è quello non dichiarato alle autorità fiscali
  • s'impennano: si alzano
  • tavolazzi: tavole in legno molto semplici
  • pietanze: cibi, alimenti
  • pergola: il tetto, la copertura di una parte del giardino, in genere costitutita da una vigna
  • l'imbrunire: il diventare bruno, scuro, il momento del tramonto
  • lampo: la cerniera lampo, che sostituisce i bottoni, per chiudere una giacca
  • propaggine: l'ultima parte, derivazione
  • spuntino:  pasto rapido e leggero